Le fonti
da cui si ricava la spiritualità della B.Angelina dei conti di Marsciano
sono di ordine esterno e di ordine interno. Quanto alle prime, siamo certi che
il suo modello di vita spirituale s’ispira al movimento dell’Osservanza
di fra Paoluccio Trinci.
I conventi che aderirono alla sua riforma si distinguevano per l’amore
alla vita ritirata in vista della preghiera, l’amore al Cristo povero
e crocifisso, l’obbedienza e la cura dell’amore fraterno.
Le fonti interne, che concordano con quelle esterne, sono fondamentalmente due:
i dipinti del monastero di S. Anna a Foligno coevi alla sua vita, e quindi commissionati
da lei, e le Costituzioni della seconda metà del sec. XV, che sicuramente
attingono a testi più antichi.
Oratorio, Crocifissione, Giovanni di Corraduccio, 1430 circa.
I dipinti del tempo di Angelina, collocati in punti-chiave del monastero, hanno come soggetto Gesù Crocifisso. Il primo si trova sulla parete di fondo dell’oratorio, usato prevalentemente per la preghiera personale, l’altro nella stanza dalla quale Angelina e le sue sorelle, ieri come oggi, accedevano alle celle, al refettorio, al coro, alla sala capitolare. Gesù Crocifisso era dunque per lei il “sacchetto di mirra “di cui si dilettava come la sposa del Cantico, sia che pregasse, sia che svolgesse qualunque altra mansione.
Conforme
la più pura tradizione francescana, Gesù è contemplato
da Angelina come dono del Padre che attraverso i profeti ha tenuto desta l’attesa
di Israele. Nella grande crocifissione della stanza di passaggio, infatti, il
possente corpo di Gesù posto su un albero, è circondato dai profeti
che hanno parlato di lui.
Egli, che è divenuto uomo e ha abitato in mezzo agli uomini (Baruc),
è stato ferito dai nostri peccati (Isaia) e ci ha guarito con il suo
sangue, che sgorga abbondante dal fianco trafitto.
La contemplazione di un amore tenace fino alla morte e alla morte di croce,
alimentava la compunzione e costituiva un costante invito alla conversione,
come suggerisce il cartiglio posto accanto al teschio di Adamo, ai piedi della
croce
A Gesù in croce, contemplato con amore e spiritualmente abbracciato più
e più volte al giorno, come invitano le costituzioni, Angelina ricorda
la sua misericordia infinita (Abacuc). A lui affida se stessa e il mondo e da
lui attinge la virtù della speranza. In Gesù é vinto infatti
il peccato (Daniele) e dall’albero della vita della Genesi é germogliato
l’albero della croce.
Gesù appare, dunque, ad Angelina come il nuovo Adamo che, svuotandosi
della sua volontà, si fece liberamente obbediente come uomo al Padre,
ottenendoci la grazia dell’obbedienza; questa é ampiamente descritta
dalle Costituzioni.
La croce le assicura poi che nulla potrà separarla dall’amore di
Dio, per questo nelle difficoltà non giudica Dio, anzi gli esprime una
perenne gratitudine perché lui è buono, molto buono. Di lui Angelina
e le sue sorelle dicono bene sulla scia di Francesco d’Assisi, che voleva
che la sua famiglia fosse un popolo sempre contento di Dio
Monastero di S. Anna, Albero della Vita, Giovanni di Corraduccio, 1430 circa.
.
Cristo in croce rivela ad Angelina due tratti del volto di Dio: l’umiltà
e la carità. Nell’incarnazione brilla l’umiltà di
Dio che volle abitare la fragile tenda dell’uomo. Egli apparso in forma
umana umiliò se stesso e fu fedele all’umanità assunta fino
al dono di sé sulla croce, consumato tra il disprezzo dei più.
Nella passione brilla particolarmente l’amore che è Dio, amore
tenace, eterno, appassionato e insieme umilmente rispettoso dell’uomo.
Incarnazione e passione sono stati i soggetti costanti della meditazione personale
di Angelina e delle sue sorelle, meditazione che, in forme differenti, occupava
un posto considerevole nella sua giornata ed era svolta in cella. Secondo le
antiche costituzioni questa doveva essere umile, secreta, vergognosa, giusta,
devota, determinata, spessa, fatta con lacrime, escatologica e rivolta al Padre
celeste.
Caratteristica della spiritualità di Angelina è l’armonia
tra preghiera personale e preghiera liturgica. All’una e all’altra
le costituzioni dedicano molta attenzione.
La preghiera era poi per lei impegno doveroso nei confronti dei fratelli: l’intercedere
per loro le rendeva accettabile il vivere di elemosine.
La preghiera, che cominciava in cella e continuava in coro, trovava il suo naturale
sbocco nelle occupazioni della vita. “ Non cessa d’orare chi non
cessa di ben fare”, dicono le antiche costituzioni. Se era cara ad Angelina
l’intercessione di Maria di Betania, simbolo dell’ascolto amoroso
di Gesù, non lo era meno quella di sua sorella Marta di Betania. Accogliere
e nutrire gli altri non era solo per lei l’esercizio di una sensibilità
squisitamente femminile ma un modo di dare la vita a imitazione di Gesù,
dentro e fuori il monastero: dentro attraverso la vita fraterna, fuori attraverso
l’esercizio del ministero.
Monastero di S. Anna, Gesù a Betania (dettaglio), Pietro di Mazzaforte (attr.), post 1451
Quanto alla dilezione fraterna due sono i capisaldi desunti dalle costituzioni: l’attuazione dell’invito evangelico a non differire la riconciliazione, con la cura di atteggiamenti di mitezza e di benevolenza, e l’incontro fraterno come luogo dell’edificazione vicendevole per una crescita nella carità. Contemplando Cristo crocifisso Angelina e la sue sorelle gioiscono per il perdono ricevuto e divengono testimoni dell’amore che perdona.
Tutta
la vita cristiana consiste nel vivere da figli, imparando a vivere da fratelli;
quando poi si assume come speciale punto di riferimento spirituale Cristo crocifisso,
matura necessariamente un’attitudine di compassione, di interesse per
la riuscita della vita di tutti, per i quali lo stesso Gesù ha versato
il suo sangue. Angelina esprime questa attitudine con una presenza affettuosa
agli altri.
Ella non amò praticare in clausura la sua ricerca di Dio, volle condividerla
con gli altri, facendosi presenza di Gesù presso i malati, i moribondi,
le partorienti, prestando i “grati servizi” cui accenna qualche
documento notarile, nel solco della tradizione beghinale.
La “povera di Dio”, mentre bussava alle porte per l’elemosina,
apriva la porta del suo cuore per accogliere i piccoli drammi che, ieri come
oggi, si consumavano tra le mura domestiche. Aveva l’occasione di esercitare
il ministero della consolazione e del consiglio e poi, di ritorno al monastero,presentava
a Dio la città, i suoi bisogni, lasciandosi provocare ad una risposta
d’amore più piena.
La città dunque offriva pane ma anche stimoli ad un’apertura generosa
all’azione di Dio, il “Tutto Bene” e questo ritornava in benedizione
per il mondo. In questo modo l’influsso della presenza di Angelina non
attingeva solo gli ambienti nobiliari, da cui provenivano lei e alcune sue consorelle,
ma tutti gli ambienti sociali.